Con Karen Gillan, Harrison Ford, Cara Gee, Dan Stevens, Bradley Whitford, Jean Louisa Kelly, Wes Brown, Omar Sy, Colin Woodell.
Titolo originale The Call of the Wild. Avventura, Drammatico (colore). Durata 100 min. USA 2020 (20th Century Fox)
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Buck, é un cane dal cuore d’oro, la cui tranquilla vita domestica viene sconvolta quando viene improvvisamente portato via dalla sua casa in California e trapiantato nella natura selvaggia dello Yukon canadese durante la Corsa all’Oro degli anni 1890. Come nuova recluta di una squadra di cani da slitta, di cui in seguito diventerà il leader, Buck vive uno straordinario viaggio di formazione che lo porterà a trovare il suo vero posto nel mondo e a diventare padrone di se stesso.
UN ADATTAMENTO CHE NORMALIZZA I TEMI LONDONIANI E RAFFORZA L’IMMAGINE DI BUCK COME EROE LETTERARIO PER ECCELLENZA.
In California, a fine ‘800, il grosso cane Buck vive nella fattoria di un giudice. Rapito per essere venduto come cane da slitta per i cercatori d’oro del Klondike, Buck si ritrova in Alaska, rinchiuso in gabbia e addestrato alla legge del bastone. Acquistato da un francese che consegna la posta negli avamposti dei cercatori d’oro, entra in una muta di cani e in poco tempo, coraggioso e possente, ne diventa il capo. Quando però il postino perde il lavoro, viene acquistato da un feroce viaggiatore in cerca di fortuna. Salvato dall’eremita John Thornton, Buck trova finalmente un amico con il quale spingersi nelle profondità delle terre selvagge. Qui sentirà sempre più forte Il richiamo della foresta e si unirà a un branco di lupi, senza però dimenticherà l’affetto per il suo anziano padrone.
Nuovo adattamento dell’omonimo romanzo di Jack London, che accentua l’elemento di formazione presente in parte nel testo originale e trasforma il cane Buck in un simbolo di fierezza e riconoscenza.
Prodotto dalla Twentieth Century Fox, da poco acquisita dalla Disney, scritto da Michael Green (autore di script ben più complessi, come quello di Blade Runner 2049) e diretto da Chris Sanders, già regista di Dragon Trainer e qui decisamente meno abile nel gestire il tema del rapporto fra uomo e animale, Il richiamo della foresta è il frutto di un’operazione prettamente commerciale: a suo modo efficace, inevitabilmente modesta.
L’adattamento del romanzo di London è improntato a una normalizzazione dei suoi passaggi più controversi: la violenza su Buck della «legge della zanna bianca e del bastone» è solamente accennata e mai mostrata; l’istinto animale del cane non è quasi mai anche un istinto di morte; il personaggio del postino volenteroso e ritardatario (interpretato da Omar Sy) è inventato e porta il racconto sui binari dell’avventura sentimentale; John Thornton non è un cercatore d’oro come tutti i maschi adulti dello Yukon a fine ‘800, ma un eremita che nel finale diventa un solitario idealista alla Thoreau al quale Harrison Ford cerca di dare la monumentalità tragica dei personaggi di London.
Soprattutto, Il richiamo della foresta a cui il cane mezzo lupo aderisce per natura non è nel film una metafora del darwinismo sociale caro al neonato capitalismo americano (secondo un’interpretazione diffusa dell’opera di London), ma una più ampia adesione a uno stato di natura nel quale predominano in forma disinteressata istinti e sentimenti come coraggio, affetto, riconoscenza, predominio. Una normalizzazione dei temi londoniani ribadita anche dalla rappresentazione da operetta del cattivo di turno (l’esploratore dandy interpretato da Dan Stevens), che ripropone l’opposizione manichea tra bene e male anche ai confini della civiltà.