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Non aprite quella porta

di Tobe Hooper.

Con Allen Danzinger, Marilyn Burns, William Vail, Jim Siedow..

Titolo originale The Texas Chainsaw Massacre. Horror (colore). Durata 87 min. USA 1974 (Plaion Pictures)

Una famiglia di macellai, minata da tare ereditarie, seziona i cadaveri d'un cimitero e stermina una comitiva di ragazzi
Non aprite quella porta
 Il capolavoro di Tobe Hooper inizia con degli scatti fotografici: ciò vuole trasmettere fin dall’inizio un’affinità con la realtà, quasi come se stessimo per assistere a un documentario. Il film prosegue invece per tutt’altra direzione, creando quel modello/schema che sarebbe stato imitato, plagiato e avrebbe ispirato tutto il cinema horror a venire, ovvero: il gruppo di ragazzi in viaggio che, una volta lontani da tutto (o quasi) si imbattono in un orrore smisurato, venendo quindi uccisi (violentemente) uno ad uno (oltre a sequel e remake di questo film, possiamo ad esempio citare “Jeepers Creepers”, “La casa dei 1000 corpi”, ecc.).
Eppure questo è solo uno tra i tanti motivi che hanno fatto di questo film un capolavoro imprescindibile, in grado di terrorizzare ancora oggi.
In primo luogo, questo film è prevalentemente ambientato sotto la luce del sole, e termina proprio in prossimità dell’alba, quando Leatherface (nella scena famosissima) agita la motosega davanti (appunto) al sole. Abbandonato lo stereotipo (credenza condivisa) secondo il (la) quale l’horror è legato all’oscurità notturna, le morti (violentissime e sconvolgenti per l’epoca, crude ancora oggi) a catena avvengono nella soleggiata campagna texana. L’orrore non viene quindi più da fuori (ovvero non scaturisce più dall’ambientazione), ma viene da dentro, si consuma nel nucleo familiare, nelle mura di casa. La famiglia come istituzione non è mai stata bersaglio di una critica così acida, tanto è vero che la scena (moralmente e psicologicamente) più cruda si svolge proprio quando tutta la “famiglia” è a tavola. Ciò che si nasconde “dietro quella porta” altro non è che una società deformata e afflitta dalla colpa e dall’orrore della guerra del Vietnam, che si rispecchia (oltre che, appunto, in una famiglia messa alla berlina) soprattutto nel serial killer soprannominato “faccia di cuoio. Non è infatti un caso che egli indossi una maschera fatta di pelle umana, carne che rappresenta quindi niente di meno che l’uomo stesso.
A dispetto di quanto accadeva in passato o di quanto sarebbe accaduto in futuro, non abbiamo più un “cattivo”  in qualche modo affascinante (si pensi al Dracula sensuale di Cristopher Lee, guardando indietro), oppure dotato di qualche sentimento residuo e quindi capace di fermarsi e riflettere, seppur solo per un secondo (e guardando questa volta avanti, si pensi al Jason di “Venerdì 13”, che si blocca stordito ogni qualvolta viene nominata sua madre).
“Faccia di cuoio” è il male puro, una macchina, un macellaio che per uccidere fa uso degli strumenti (armi) più rozzi (un enorme martello prima, la celebre motosega poi, passando attraverso una scena ai limiti del sopportabile dove una ragazza viene appesa viva a un gancio), la cattiva coscienza di un’America che ha perso la propria innocenza. Ecco perché fa così paura.
Questo, quindi, è anche un film politico.
Guardando di nuovo al genere horror nel complesso, assistiamo con questa pellicola alla nascita del cosiddetto “New Horror”, che fa di castelli gotici popolati da pipistrelli, topi e ragnatele un tema obsoleto.
Se gli horror ante-“Non aprite quella porta” erano spesso di ispirazione letteraria (si pensi a Dracula e a Frankenstein, i film tratti da Edgar Allan Poe, così come a tutti i film di ispirazione gotica), col “New Horror” emerge qualcosa di nuovo, che ha in qualche modo a che fare con la contemporaneità e che ha come marchio di fabbrica il modello narrativo che ho esplicato all’inizio.
Tobe Hooper, tra i pionieri del genere, avrebbe realizzato due anni più tardi il bellissimo “Quel motel vicino alla palude” (1976) per dirigere nel 1986 “Non aprite quella porta – parte 2”, sequel trascurabile del film in questione, così come anche il terzo e quarto capitolo (non diretti però dal Nostro).
Marcus Nispel avrebbe realizzato un buon remake nel 2003, mentre la vera svolta sarebbe arrivata con “Non aprite quella porta – L’inizio” di Johnathan Liebesman (2006), a tutt’ora il migliore dopo l’originale.
Inguardabile invece l’ultimo “Non aprite quella porta 3D” (John Luessenhop, 2013).
Programmazione film
PROGRAMMAZIONE
TERMINATA