Con Fabrizio Bentivoglio, Maria Pia Calzone, Isabella Ragonese, Sergio Rubini.
Titolo originale Dobbiamo parlare. Commedia - Drammatico (colore). Durata 101 min. Italia 2015 (Cinema)
Nel salotto di un attico sabotato (scaldabagno che non scalda, infissi permeabili all’acqua, impianto elettrico cortocircuitato) per non offendere troppo la sensibilità dello spettatore ‘fuori porta’, l’ideologia diventa una sorta di continuazione degli aspetti sentimentali e amorosi che costituiscono gli ingredienti più superficialmente evidenti del film.
Dobbiamo parlare schiera a sinistra la coppia Ragonese-Rubini, con la loro visione dell’amore radical e progressista (al matrimonio preferiscono la convivenza) e a destra la coppia Calzone-Bentivoglio, conformista e benestante (il loro legame è fondato esclusivamente sui beni materiali).
In bilico sui mali politici e su quelli sentimentali, Rubini prova a fare dialogare le parti con risultati naïf nel modo di vivere la propria appartenenza sentimentale, sociale, politica. Le parole sbraitate e sguaiate, per dissimularne l’inefficacia e l’approssimazione, non riescono a tessere una commedia sul rischio della verità a tutti i costi. Riuniti i protagonisti per fare il punto delle loro reciproche relazioni, Rubini li condurrà a una sorta di tregua, uno spazio in cui lasciarsi o riprendersi.
A mancare tuttavia è la plausibilità dei passaggi emozionali, delle pulsioni personali, delle successioni di alleanze e delle ostilità inattese. Per tenere il ritmo, la fluidità e lo sviluppo drammatico, per corrompere la commedia di un rancore progressivo o condurre i personaggi verso un’implacabile misantropia, serve un controllo che difetta ad autore e attori. La regia conferma il riassorbimento compiuto dell’ideologia negli oggetti del rito borghese, le interpretazioni, martirizzate da una storia di ‘mal di pancia’ ancora una volta collocata a ‘destra e a manca’ e nel quartiere romano ‘bene’, il trionfo del canone recitativo televisivo, in cui ogni espressione e gesto è enfatizzato, sottolineato all’estremo, esasperato, amplificato. Il volto e il corpo che patisce di più il processo di omogeneizzazione è quello di Fabrizio Bentivoglio, a cui Rubini affida intollerabilmente un ruolo ‘coatto’ che contrasta la sua naturale (e luminosa) inerzia. De Sica cameriniano (Il signor Max), Bentivoglio abbandona l’accento nativo per un gergo greve che, pur disertando la sua immagine, conserva sotto la barba bianca il candore gaglioffo.