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Pasta Nera

di Alessandro Piva

Titolo originale Pasta Nera. Documentario (colore). Durata min. (Distribuzione:Cinecittà Luce)

INCONTRO CON IL REGISTA ALESSANDRO PIVA
Pasta Nera
 INCONTRO CON IL REGISTA ALESSANDRO PIVA
  • Al termine della seconda guerra mondiale l’Italia è devastata; tra le profonde ferite lasciate dal conflitto quella forse più dolorosa è la condizione dei minori, specie nel Mezzogiorno.
    Nel clima di fervore nella ricostruzione del Paese, migliaia di famiglie di lavoratori del Centro-Nord aprono le loro case ai bambini provenienti dalle zone più colpite del Meridione.
    L’iniziativa in poco tempo diventa un movimento nazionale proponendo una concezione della solidarietà e dell’assistenza che indica soluzioni concrete ai problemi più urgenti, supplendo talvolta all’assenza delle istituzioni.
    Sono le donne le protagoniste indiscusse dell’enorme macchina organizzativa: attraverso l’Unione Donne Italiane – l’associazione femminile della Sinistra italiana – e i tanti comitati locali, le donne riescono tra mille difficoltà a portare quei bambini laceri e denutriti in un contesto di dignità e riscatto.
    I protagonisti di questa storia, ormai nonni, ricordano con i loro occhi bambini questa inedita esperienza, in un cortocircuito emozionale tra infanzia e anzianità.
    Attraverso i loro racconti, inframmezzati dai repertori dell’Istituto Luce e da filmati e raccolte fotografiche di tanti archivi privati, Pasta Nera dà corpo alla memoria storica di uno dei migliori esempi di solidarietà e slancio unitario nella storia del nostro Paese.

  • Genere:documentaristico
  • Regia:Alessandro Piva
  • Titolo Originale:Pasta Nera
  • Distribuzione:Cinecittà Luce
  • Produzione:Seminal Film
  • Durata:54’
  • Montaggio:Andrea Nobile e Marco Rizzo
  • Destinatari:Scuole Secondarie di I grado, Scuole Secondarie di II grado
  • Approfondimenti:
    LA STORIA

    Tra il 1945 e il 1952 più di 70.000 bambini del Sud più svantaggiato furono ospitati temporaneamente da famiglie del Centro-Nord. Quei bambini presero in quegli anni il primo treno della loro vita, per lasciarsi alle spalle la povertà e le macerie del dopoguerra e vivere un’esperienza che non avrebbero mai più dimenticato. Pasta Nera riporta alla luce uno dei migliori esempi di solidarietà e spirito unitario nella storia del nostro Paese.

    Il titolo

    La Pasta nera era fatta con quei pochissimi chicchi di grano arso che rimanevano a terra dopo la trebbiatura, i poveri se li contendevano con gli animali, dalla gente miserabile era considerata l’ultima risorsa per nutrirsi. La scoperta di un’alimentazione non di pura sussistenza è l’aspetto che forse è più rimasto impresso nella memoria dei bambini dopo il viaggio, e il contrasto con l’impasto immacolato delle tagliatelle emiliane è diventato un po’ il simbolo di Pasta Nera, il ricordo della miseria lasciata alle spalle.

    LE VOCI DEI PROTAGONISTI

    Era un pomeriggio di un martedì a San Severo, era il giorno finale della festa della Madonna del Soccorso e sulla panchina di questa stazione io, due mie sorelle e tanti altri bambini aspettavamo il treno che ci avrebbe portato ad Ancona.
    SEVERINO, 8 anni, Puglia

    Dicevano: “Andate in Alta Italia? Attenti, che quando arrivate i comunisti vi trasformano in sapone!” Allora spaventata dissi: “Io non ci vado più.” Mio fratello e mia sorella invece, che erano più piccolini, dicevano: “Andiamo, andiamo col treno! Non l’abbiamo mai preso il treno”
    LUIGINA, 13 anni, Lazio

    Mi sembrava di essere in una favola, dentro quel treno. Vedevo tutti queste luci nel mare che rispecchiavano, e io non potevo riuscire a capire che cos’erano, perché non avevo mai sentito che c’era il mare…
    ERMINIA, 7 anni, Puglia

    Quando sono tornato giù al paese, non trovandomi a mio agio non mangiavo. Non so se era per il dispiacere… So che non mi andava di mangiare. Non volevo rimanere lì, era un ambiente che non mi piaceva. Avevo visto il sistema di vita qui, mi piaceva la gente… Ti dico: quassù era un mondo a colori, laggiù era un mondo in bianco e nero.
    AMERICO, 8 anni, Puglia

    Le cose che raccontavano questi bambini erano come una lezione di geografia per le famiglie; è stato un rapporto che ha dato, ma ha anche molto ricevuto, dal punto di vista sentimentale come da quello culturale: da dove vieni, cosa fa tuo padre, come vivete, come passate le giornate, che tipo di divertimenti vi potete permettere… Erano due mondi diversi che si incontravano. E quando due mondi si incontrano, crescono tutti e due.
    AUDE PACCHIONI – Organizzatrice – Emilia Romagna

    Questo è un Paese che ogni tanto ha bisogno di ricordarsi che ha fatto delle cose bellissime. Perché noi siamo un po’ contro noi stessi: ci diciamo tutto quello che facciamo di male, ma ci diciamo troppo poco quello che facciamo di buono.
    LUCIANA VIVIANI – Organizzatrice – Campania

    Quei bambini, che avevamo accompagnato su che erano come degli scheletrini… quando tornarono avevano cambiato aspetto e avevano il ricordo dell’Emilia, come fosse stata la terra di Bengodi; invece era il luogo dove famiglie di operai e contadini comunisti li avevano aiutati ad uscire da una condizione di miseria che avrebbe potuto veramente distruggerli.
    MIRIAM MAFAI – Organizzatrice – Lazio

    NOTE DI REGIA

    Diversi anni fa stavo girando uno speciale per La storia siamo noi a San Severo, con i curatori del programma avevo concordato un tema sul quale lavoravo già da tempo: le rivolte bracciantili del secondo dopoguerra nelle Puglie. Una delle persone intervistate era Severino Cannelonga, figlio di Carmine, noto bracciante sindacalista dell’epoca. Terminata la registrazione Severino mi disse che avrei dovuto ascoltare una sua esperienza di bambino.

    “So che non c’entra direttamente con la tua inchiesta, ma voglio comunque che ascolti la mia storia”. Insieme a me il ricercatore Giovanni Rinaldi, appassionato studioso della memoria orale dei braccianti, che aveva accettato la proposta di accompagnarmi nella ricostruzione di quel periodo di rivolte nel Tavoliere. Accesi nuovamente la telecamera e Severino iniziò: “Era un martedì, il giorno finale della festa della Madonna del Soccorso. Io, le mie sorelle e tanti altri bambini eravamo qui alla stazione ad aspettare un treno…” Quell’uomo mi raccontò la storia del primo viaggio in treno della sua vita. La sua famiglia era in difficoltà per le ripercussioni delle lotte politiche e alcune famiglie di Ancona si erano offerte di ospitare i bambini di San Severo. I suoi occhi tornarono via via giovanissimi: il cambio del paesaggio e la scoperta del mare, i diversi sapori della tavola, l’importanza che veniva data allo studio… praticamente due culture che si confrontavano. Insieme a Rinaldi decidemmo di intraprendere due percorsi paralleli che documentassero quel fenomeno stranamente misconosciuto della nostra storia migliore. Nascono così Pasta nera, il mio film documentario, e I treni della felicità, il libro di Giovanni Rinaldi, due racconti che partono dalla stessa suggestione per restituire questa storia di solidarietà quasi dimenticata.

    Così, con i miei collaboratori iniziammo a rintracciare da un capo all’altro del nostro Paese i protagonisti di questa iniziativa. Scoprimmo che non solo molti di quei bambini erano ancora in grado di ricordare lucidamente quell’esperienza, ma anche che alcune delle allora giovanissime organizzatrici erano ancora pronte a raccontarci, con una ricchezza di dettagli sorprendente, l’ambiziosa fatica di quella macchina organizzativa che permise a più di 70.000 bambini di salire su quei treni.
    Ci sono voluti degli anni – l’intermittenza delle risorse a disposizione ha dettato il passo – per raccogliere tutte le interviste, tasselli di un racconto condiviso che fosse il più esaustivo possibile. Ogni bambino, ogni testimone aggiungeva qualcosa. Esaurito lo slancio del primo, importante sostegno del Progetto Casa Di Vittorio, abbiamo spesso dovuto aspettare il momento giusto per coprire le spese delle trasferte. Quando eravamo in grado di organizzare un viaggio riconoscevamo, al Sud come al Nord, quello stesso identico valore dell’ospitalità che stavamo documentando: tutti ci hanno aperto le loro case, preparato i cappelletti, messo in tavola gli affettati e la torta fritta.

    Nell’ambientare il racconto degli intervistati abbiamo cercato di restituire qualcosa del loro vissuto; così Severino è alla stazione, proprio lì da dov’era partito, Americo è nel salone di barbiere appena ceduto per andarsene in pensione, Marisa nella vetusta officina di famiglia e Derna nella casa di riposo, mentre Miriam Mafai è tra i suoi libri e la Viviani si racconta tra i souvenir delle sue battaglie in Parlamento e di tutta una vita.

    E le foto, quelle pochissime fotografie tenute sempre in mano nel timore che andassero perse… Ho usato le foto dei protagonisti per certificare questo cortocircuito emozionale e visivo tra infanzia e anzianità che mi aveva colpito fin dall’inizio. La ricerca d’archivio condotta con appassionata dedizione da Vania Cauzillo ha setacciato da una parte gli archivi di Napoli e Roma, dove i fotografi non si erano lasciati sfuggire la partenza in stazione di migliaia di bambini, e dall’altra quelli delle Udi emiliane che conservano molti scatti di quegli arrivi, scatti che catturano occhi ora smarriti nelle foto di gruppo sulle banchine della stazione, ora increduli e sorridenti davanti alle tazze di cioccolata e alle facce orgogliose dei loro ospiti.

    Le nostre interviste andavano innestate sulle immagini di repertorio dell’epoca, così scrivemmo a Cinecittà Luce, illustrando il progetto a Luciano Sovena e chiedendogli l’uso del materiale d’archivio. La sua immediata risposta andò ben oltre le mie aspettative. Beppe Attene, consulente per i documentari di Cinecittà Luce, ha messo così a disposizione la sua competenza e la sua sincera passione storiografica. Così il materiale d’archivio non ha solo punteggiato i momenti salienti del racconto ma si è innervato nella struttura narrativa.
    Ciò che non è racconto dell’iniziativa specifica è ricostruzione dell’epoca: questi i due piani narrativi e visivi che si intrecciano. Il materiale d’archivio ci restituisce il clima dell’Italia postbellica: i bombardamenti e le città sventrate, la faticosa opera di ricostruzione, la fame, il ruolo delle organizzazioni femminili e la condizione infantile nelle grandi città. È proprio dall’avvicendarsi tra lo speaker dei cinegiornali e la voce dei protagonisti che è derivata la scelta di non ricorrere alla voce fuori campo. Il compositore Riccardo Giagni ha creato un mondo musicale mai troppo invasivo, come rispettoso dei silenzi del repertorio e delle emozioni di questi bimbi anziani.

    A impreziosire la colonna sonora, Giagni ha sapientemente gestito un coro di voci bianche, che oltre a scandire con le filastrocche alcune sequenze, punteggia la visione con certi curiosi bisbiglii di bambini, che ondeggiano tra le immagini di repertorio. Con l’aiuto dei montatori Andrea Nobile e Marco Rizzo, abbiamo deciso infine di fare ampio ricorso ai filmati di famiglia dell’archivio Home Movies, per una narrazione per certi versi libera come l’infanzia: una citazione del gioco e della spensieratezza dei bambini, un’epoca rievocata con la suggestione dei filmini 8mm.

    Molte delle persone che abbiamo intervistato già non ci sono più, di loro mi rimane impressa la gioia con la quale hanno ricordato questa storia un po’ ricoperta di polvere. La sensazione è quella, nel mio piccolo, di aver fatto qualcosa di utile al mio Paese, fermando una memoria intimamente custodita nelle case italiane, “perché questo è un paese che ogni tanto ha bisogno di ricordarsi che ha fatto delle cose bellissime”, come ci fa notare nel finale del documentario Luciana Viviani.
    E finalmente ho imparato a non vergognarmi dell’emozione che mi trascina via ogni volta che penso a questa storia.

    Alessandro Piva

    ALESSANDRO PIVA

    Nato nel 1966, Alessandro Piva arriva alla regia attraverso un percorso da fotografo, montatore e sceneggiatore. Terminati nel 1990 gli studi di montaggio al Centro Sperimentale di Cinematografia lavora come documentarista realizzando reportage in Italia e all’estero. Con due sceneggiature tra il ’92 e il ’93 ottiene altrettante Menzioni Speciali al Premio Solinas.
    Come regista di cinema ha all’attivo tre lungometraggi:
    LaCapaGira: presentato al Festival di Berlino, vincitore di numerosi premi tra i quali il David di Donatello e il Ciak d’Oro 2000;
    Mio Cognato: presentato al Festival di Locarno, tre candidature ai Nastri d’Argento 2004.
    Henry: presentato al Festival di Torino, dove ha conseguito il Premio del Pubblico, in uscita nella stagione 2011/2012.

    Tra il 2002 e il 2006 ha diretto diversi atti unici per Radio3 Rai. Nel 2007 si è cimentato nella sua prima regia di Opera, con un allestimento de “Il Cappello di Paglia di Firenze” di Nino Rota. Il 2008 lo vede impegnato nella lavorazione di una serie Tv per la prima serata Mediaset, “La scelta di Laura”.

    È anche regista di spot pubblicitari. Nel 2009 ha girato due spot per Fox Channel, premiati agli Sky Awards 2008 e al Promax di New York 2009. Ha una consolidata esperienza nella comunicazione politica e istituzionale, mentre altro suo campo d’azione è quello dell’insegnamento nell’audiovisivo. Piva è membro dell’EFA, l’Accademia del Cinema Europeo.

Programmazione film
PROGRAMMAZIONE
TERMINATA