Con Dakota Fanning, Teri Hatcher, Ian McShane, Keith David, Jennifer Saunders.
Titolo originale . Animazione (colore). Durata 100 min. USA 2008 (Nexo studios)
Coraline ha undici anni e si è da poco trasferita con la sua famiglia in una nuova casa. Tutto è ancora da esplorare, ma i suoi genitori sono troppo occupati con il lavoro per dedicarsi a lei. La spediscono a giocare in giardino, le preparano al volo la cena quando è ora, la invitano a cavarsela da sola. È così che Coraline scopre una porticina che dà su un tunnel polveroso che porta ad un altro appartamento, in tutto simile al suo, dove vivono un’altra mamma e un altro papà, che altro non fanno che occuparsi di lei. Tutto è spettacolare e desiderabile, dall’altra parte del tunnel, se non fosse che le persone hanno strani bottoni cuciti al posto degli occhi.
È nata da un errore di battitura, Coraline. Neil Gaiman, il suo creatore, voleva scrivere Caroline, ma gli è scivolato il dito sulla tastiera e le lettere si sono scambiate di posto. Così Coraline è unica e a lei toccherà un’esperienza unica, nella quale i doppi e i ribaltamenti (non) si sprecano.
Avventura tinta d’orrore, Coraline, nelle mani di Henry Selick, si avvicina piacevolmente ai temi di Nightmare before Christmas. Ancora, si tratta di un passaggio casuale in un altro mondo, là apparentemente distante e qui illusoriamente speculare, un mondo dove la morte s’impone per fascino sulla vita (i bottoni sugli occhi, come monete che propiziano il trapasso), con la sua lusinga della perfezione e della soddisfazione. Non a caso a fare da tramite è in qualche modo il personaggio di Wybie, estraneo al testo letterario ma imprescindibile in quello cinematografico di eco burtoniana, in quanto freak che si muove sul confine della vita, il cui diritto all’esistenza è stato messo in discussione da sempre e per sempre, inscritto nel suo stesso nome.