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GLI ANNI PIÙ BELLI

di Gabriele Muccino

Con Pierfrancesco Favino, Micaela Ramazzotti, Kim Rossi Stuart, Claudio Santamaria, Francesco Centorame.

Titolo originale GLI ANNI PIÙ BELLI. Commedia (colore). Durata 129 min. Italia 2020 (01 Distribution)

GLI ANNI PIÙ BELLI

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Roma, primi anni Ottanta. Giulio, Paolo e Riccardo hanno 16 anni e tutta la vita davanti. Giulio e Paolo sono già amici, Riccardo lo diventa dopo una turbolenta manifestazione studentesca, guadagnandosi il soprannome di Sopravvissuto. Al loro trio si unisce Gemma, la ragazza di cui Paolo è perdutamente innamorato. In realtà tutti e quattro dovranno sopravvivere a parecchi eventi, sia personali che storici: fra i secondi ci sono la caduta del muro di Berlino, Mani Pulite, la “discesa in campo” di Berlusconi e il crollo delle Torri Gemelle, per citarne solo qualcuno. E dovranno imparare che ciò che conta veramente sono “le cose che ci fanno stare bene” e che certi amori – così come certe amicizie – “fanno giri immensi e poi ritornano”.

Se citiamo un cantautore è perché Gli anni più belli segue volutamente il registro di concept album come “Piccolo grande amore” di Claudio Baglioni, e infatti Baglioni viene evocato nel film ben tre volte, con “E tu come stai?”, “Mille giorni di te e di me” e l’inedito che accompagna i titoli di coda.

Ma se l’afflato di questo “romanzo popolare” è quello della canzonetta – e lo diciamo senza condiscendenza – lo stile registico è 100% Gabriele Muccino.

Il che, nella prima parte del film, è quasi letale: i giovani attori che interpretano i quattro ruoli principali, benché molto bravi (specialmente Alma Noce e Andrea Pittorno) sono spinti a recitare costantemente sopra le righe, alzando la voce, ansimando e soccombendo a quella frenesia ormai definibile come “muccianiana”. E a sottolineare ogni scena c’è la colonna sonora (di Nicola Piovani) spalmata “a palla”.

Tuttavia dopo la prima mezz’ora, e dopo l’entrata in scena di Pierfrancesco Favino, Kim Rossi Stuart e Claudio Santamaria, il film comincia a prendere quota e a trovare un’identità che si smarca gradualmente dai cliché, rivelando un’onestà artistica credibile. Il merito è certamente degli attori, che trovano la loro misura anche all’interno dello stile dominante, ma anche di una regia che riesce a contenere i propri “difetti fatali”, anche facendo leva su professionalità ben definite come Eloi Mori alla fotografia, Patrizia Chericoni ai costumi o Tonino Zera alle scenografie. Particolarmente notevole è il lavoro di montaggio di Claudio Di Mauro, specialmente nella scena del ristorante vicina alla conclusione, che destruttura magnificamente il meccanismo del campo e controcampo, e in quella dove Gemma, nelle sue varie incarnazioni, sale di corsa le scale, una delle più belle del film.

Gemma è invece il tasto dolente, non per via delle belle interpretazioni della già citata Noce e di Micaela Ramazzotti, ma per lo scarso lavoro di scrittura del suo personaggio, del quale si faticano a capire le motivazioni, e dal quale traspare la consueta visione del mondo mucciniana in cui le donne “la danno via con la fionda”, di solito per ragioni di sicurezza economica.

IL COMMOVENTE RITRATTO DI UNA GENERAZIONE CHE MUCCINO SA METTERE A FUOCO CON UNA COMPIUTEZZA SENZA UGUALI.

Recensione di Paola Casella

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