Con Leopoldo Trieste, Alberto Sordi, Franco Interlenghi, Franco Fabrizi, Leonora Ruffo.
Titolo originale . Commedia (colore). Durata 108 min. Italia 1953 ( Cineteca di Bologna)
In una cittadina di mare che potrebbe essere Rimini vivono cinque giovani: Moraldo (Interlenghi), Alberto (Sordi), Fausto (Fabrizi), Leopoldo (Trieste), Riccardo (Fellini, fratello del regista). Le loro sono piccole storie, secondo le possibilità offerte da un posto come quello. Fausto corre dietro a tutte le donne e non ha voglia di lavorare, trova un posto da commesso, gli altri ridono di lui. Si sposa ma non cambia. Alla fine il padre lo picchia con la cinghia, come un bambino. Alberto ha problemi in famiglia, la sorella se ne va con un uomo sposato. Lui si ubriaca. Riccardo non ha personalità, è un po’ la spalla di tutti. Leopoldo scrive commedie che nessuno legge. Quando arriva un attore in città che sembra interessarsi ai suoi scritti, in realtà si interessa… a lui. Moraldo è il più serio, è buono e generoso. Alla fine sarà l’unico ad andarsene.
Era il quarto film di Fellini e fu quello che mostrò per primo le sue attitudini, in sostanza ci si accorse che il regista aveva davvero qualcosa in più.
Nessuno meglio di lui conosceva la vita di quella provincia sonnolenta, dove succedono sempre le stesse, pochissime cose, dove se hai un lampo di fantasia particolare dovrai soffrire anche di più perché non ci sarà comunque uno sbocco.
Come sempre, come farà anche in futuro, Fellini si smarrisce, e si spaventa davanti al tempo che scorre e che costringerà a crescere e a fare delle scelte. Perché non ci saranno scelte da fare. Più tardi il regista butterà tutto sulla fantasia, sull’impegno e la ricerca.
Quando uscì il film parve ad alcuni semplicemente l’istantanea “realista” della provincia, ma c’era molto di più, c’era il mondo ricreato di un autore unico in quella pratica, con sequenze di poesia ben oltre il “realismo”, come la passeggiata “stanca” sulla spiaggia di tutti gli amici, o l’intero episodio del gruppo di avanspettacolo, un mondo per il quale Fellini ha sempre avuto un debole, e nel quale faceva rispecchiare, in grottesco, l’intera rappresentazione della vita