Con Sidse Babett Knudsen, Fabrice Luchini, Miss Ming, Berenice Sand, Claire Assali, Floriane Potiez.
Titolo originale L'hermine. Commedia (colore). Durata 98 min. Francia 2015 (Academy Two)
La commedia francese arriva al Festival di Venezia con “L’Hermine”, ultima fatica del regista Christian Vincent. L’autore torna nelle sale a tre anni dall’uscita de “La cuoca del presidente” e lo fa costruendo un opera delicata e divertente che ruota interamente attorno a un perno: il mattatore Fabrice Luchini, attore francese ma di origine italiane è il giudice Xavier Racine della Corte d’Appello, anzi pardon è “monsieur le president”.
L’ermellino è la toga indossata dal funzionario ogni giorno quando si reca in aula per svolgere le proprie funzioni. Il palcoscenico del film è l’aula di tribunale e le poche uscite servono per permettere di comprendere l’intimità dei personaggi e la profondità del sentimento del protagonista per la donna interpretata da Sidse Babett Knudsen. Questa è un’infermiera che mesi prima lo aveva curato in ospedale mentre era in fin di vita dopo un grave incidente e il ricordo del suo volto da parte del presidente è l’immagine più bella e poetica. L’uomo è noto come “due cifre” tra i colleghi del tribunale, poiché con lui una condanna a dieci anni è il minimo che ci si possa aspettare. Il caso che vanno ad affrontare è davvero delicato e ha toccato nel profondo l’opinione pubblica: il padre avrebbe massacrato a calci la sua figlioletta di appena sette mesi.
Vincent riesce a proporci un dramma in modo comico, non mettendo mai tristezza e regalando risate. Le battute di Luchini e il modo con cui smonta ogni più piccolo particolare fuori posto rendono le testimonianze un piccolo sketch.
L’opera è, naturalmente, anche una fotografia alla Francia di oggi: nei giurati scelti per esaminare il caso troviamo francesi di nascita, immigrati, cittadini di altri paesi europei e arabi. Il punto di vista di ognuno sulla vicenda è differente e riflette quello che è il pensiero maggiormente diffuso in quelle dinamiche dal loro stato di estrazione sociale. Il processo diventa quindi il pretesto per vedere una chiave comica un confronto sociale, con un finale a sorpresa a cui la grandezza di Luchini ci accompagna di minuto in minuto con estrema delicatezza. Più il confronto Una storia d’amore in una fotografia più ampia dei problemi sociali, un sentimento che va oltre le apparenze e le formalità accompagnando la vicenda ed essendo parte fondamentale di essa.
Il regista riesce a dosare in modo perfetto tutti gli elementi di questo film, in cui un’altra delle scene più significative è l’arringa difensiva dove invece di parlare l’avvocato dell’accusato tutto è lasciato in mano all’assistente: la frecciata al sistema giudiziario è forte e forse arriva proprio perché è stata raccontata con la capacità di far sorridere.