Con Massimo Ghini, Ramiro Garcia, Max Tortora, Francesco Montanari, Gioia Spaziani.
Titolo originale . Drammatico (colore). Durata 95 min. Italia 2019 (Altre Storie.)
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Bartolomeo è un procuratore calcistico con il vizio del gioco, che gli è già costato moglie e figlia. Assediato dai creditori, l’uomo è sempre in cerca della “volta buona”, ovvero l’occasione che gli cambierà la vita e lo renderà finalmente ricco. L’occasione ha il viso serio di un ragazzino uruguaiano, Pablito, che l’ex socio Bruno ha scovato nelle baraccopoli di Montevideo. Pablito ha un talento, ma anche un fisico “alla Maradona” che richiede un investimento importante sulla sua crescita fisica affinché possa competere in futuro a livelli importanti: e chi sarà disposto ad accollarsi quei costi? Fra l’uomo e il ragazzino si instaura un rapporto di necessità reciproca, ma anche un legame affettivo che Bartolomeo non aveva messo in conto.
La volta buona fa tesoro di tutta la lezione del cinema italiano, in particolare il Neorealismo – il che dà da riflettere sul fatto che l’Italia della crisi contemporanea riproponga dinamiche simili a quelle del Dopoguerra – gli imbroglioni alla Steno (c’è persino una scena all’ippodromo) e i mostri alla Dino Risi, capaci di (s)vendere anche la mamma per proprio tornaconto.
Ed è fondamentale che a indirizzare Bartolomeo sulla retta via sia un ragazzino che viene da un Paese più povero e sfortunato del nostro, ma che non ha perduto il senso della dignità e della solidarietà umana. Reminiscente del cinema di Risi è anche il rapporto fra Bartolomeo e Bruno, interpretati da Massimo Ghini e Max Tortora, due miserabili che vorremmo vedere più a lungo sul grande schermo (meravigliosa la battuta di Bruno che mostra la sua squallida stanza all’amico: “Entra, e nun dì gnente”).
La regia di Vincenzo Marra è come al solito corretta ed essenziale, e il suo soggetto è molto adatto ai tempi. Meno preciso ed efficace è lo sviluppo della sceneggiatura, sempre affidato al regista, che dimentica di seminare alcune informazioni necessarie a rendere più credibile e “rotonda” la storia, e chiude bruscamente con un finale che salta a piè pari lo sviluppo conclusivo di eventi e personaggi.
La scelta registica più azzeccata risulta quella di casting: Ghini ritrova la capacità di mettersi a servizio di un cinema autoriale, e il piccolo Ramiro Garcia nei panni di Pablito è una vera scoperta – un ragazzino silenzioso e solenne che non esagera col pathos e scansa istintivamente i toni melodrammatici.