Con Thomas Mann, RJ Cyler, Olivia Cooke, Nick Offerman, Jon Bernthal.
Titolo originale Me & Earl & the Dying Girl. Drama/comedy (colore). Durata 104 min. USA 2015 (20th Century Fox)
Greg è un ragazzo di talento ma incapace di relazionarsi con il prossimo. Preferisce sfuggire la profondità nei rapporti e crogiolarsi nella sua eterna adolescenza insieme a Earl, il suo migliore amico, da lui definito solo “collega”. Quando la madre di Greg lo costringe a far compagnia a Rachel, una ragazza del suo liceo malata di leucemia, le barriere emozionali di Greg cominciano lentamente a crollare, lasciando spazio a un’inaspettata maturità.
Il tema principale del secondo film di Alfonso Gomez-Rejon (un passato come assistente di Scorsese e Iñárritu, un debutto nell’horror), ossia il confronto con l’indicibile dolore della malattia terminale in età giovanile, porta inevitabilmente Quel fantastico peggior anno della mia vita a misurarsi con altri titoli cult di un sottogenere particolarmente gremito nel recente cinema indipendente americano. Prima Gus Van Sant con il mélo di L’amore che resta, poi la rielaborazione sotto forma di commedia di50 e 50 e infine Colpa delle stelle, l’incredibile successo young adult tratto dal best-seller di John Green, hanno prepotentemente messo il cancro e il tema della morte al centro del romanzo di formazione adolescenziale. A condizionare, nel bene e nel male,Quel fantastico peggior anno della mia vita è la consapevolezza di non arrivare per primo. O meglio, è la consapevolezza tout court, a 360°. Quella di una sceneggiatura – scritta da Jesse Andrews, autore del romanzo da cui il film è tratto – così ricca di freddure da colto umorismo Sundance, da risultare incontenibile e forse ingestibile nei binari della narrazione. I movimenti di macchina inconsueti e arditi, i dialoghi velocissimi e ricchi di citazioni e la cinefilia strabordante, che sfocia nella gag delle parodie dei classici d’autore girate da Greg e Earl (con più di un debito verso Be Kind Rewind – Gli acchiappafilm), conducono il film di Gomez-Rejon su un piano di metatestualità così esasperato da distaccarsi irrimediabilmente rispetto al testo effettivo. Proprio come il suo protagonista Greg, pervicacemente cinico e immaturo, Quel fantastico peggior anno della mia vita fatica ad andare oltre la sagace strizzata d’occhio rivolta a un preciso target (il film trionfa al Sundance Film Festival), chiudendo definitivamente le spalle alla chance di comunicare con la maggioranza del pubblico. Se 10 cose che odio di te e (500) giorni insieme – da cui Gomez-Rejon riprende l’uso della voce narrante e il comandamento di non raccontare una storia d’amore – riuscivano a utilizzare l’arguzia nerd per impreziosire una storia convenzionale, la tragi-commedia mumblecore degli anni Dieci sembra porsi pervicacemente al di sopra della materia, stabilendo una gerarchia inversa tra contorno e sostanza. I comprimari Earl e Rachel finiscono così per risultare molto più interessanti del protagonista, ma rimangono confinati sullo sfondo, semplici proiezioni del pensiero debole del punto di vista dominante. Earl esiste per mostrare un minimo di saggezza da orgoglio black e insegnare a Greg il valore dell’amicizia, Rachel si ammala gravemente e solo così può legarsi a Greg e instillargli un po’ di maturità, permettendogli di spiccare quel salto troppo a lungo rimandato. Una costruzione diseguale, a tratti irresistibile e a tratti irritante, che giunge all’inevitabile climax dopo aver smarrito per strada le intuizioni migliori, in un rifiuto autolesionistico di una presunta e forse temuta convenzionalità.
Tecnicamente ineccepibile – fotografia di Chung Chung-hoon, prediletto da Park Chan-wook, e musiche di Brian Eno – Quel fantastico peggior anno della mia vita vive di frammenti memorabili e sembra possedere tutte le note giuste, ma senza riuscire a strutturarle in una partitura che si dimostri convincente e longeva.