Con Ryan Reynolds, Helen Mirren, Katie Holmes, Tatiana Maslany, Max Irons, Charles Dance, Elizabeth McGovern, Antje Traue, Daniel Brühl, Neve Gachev, Frances Fisher.
Titolo originale Woman in Gold. Drammatico (colore). Durata 110 min. U.S.A., Regno Unito (Eagle Pictures)
Si può in qualche modo rimediare agli errori della storia e risarcire le vittime di guerra? Possono gli stati ammettere candidamente le loro responsabilità e rinunciare a degli immensi tesori in nome della giustizia? Trovare una risposta univoca a queste domande non è facile, ma è proprio quello che viene da chiedersi guardando “Woman in Gold”, nuovo film del regista Simon Curtis, già firma di “Marilyn”.
La pellicola prende spunto da una storia realmente accaduta che vede protagonista Maria Altmann, una donna ebrea di origine austriaca fuggita da Vienna durante la Seconda Guerra Mondiale per approdare in California, dove tutt’ora vive ed è rimasta l’unica componente in vita della sua famiglia dopo la morte della sorella. Tra gli effetti personali della sorella, Maria ritrova alcune lettere che fanno pensare che un famosissimo quadro di Klimt, conosciuto proprio come “Woman in gold“, che apparteneva alla sua famiglia, potrebbe essere stato sottratto loro in maniera illegale. In base a una decisione del governo austriaco tesa a risarcire le famiglie depredate dai nazisti, la donna potrebbe avere diritto alla restituzione del famoso dipinto.
Per portare avanti la sua battaglia si affida a un giovane avvocato di origine austriaca, figlio di una sua amica e nipote del famoso compositore Arnold Schönberg. Per prima cosa i due si recano a Vienna e sottopongono la loro richiesta alla Commissione che si occupa delle richieste di restituzione, ma gli interessi intorno a un quadro che vale circa 100 milioni di dollari ed è considerato un simbolo nazionale, la “Mona Lisa” austriaca, sono troppo forti e la richiesta viene respinta senza possibilità di appello. Ma la visita in Austria e in particolare al museo dell’Olocausto ha scatenato qualcosa nel cuore del giovane avvocato che, ora spinto da un qualcosa di più profondo del semplice guadagno monetario, mette a rischio tutta la sua vita per continuare a combattere, tanto che cita in giudizio lo stato austriaco per arrivare a una sentenza storica.
La pellicola si basa quasi unicamente sull’interpretazione della Mirren che, come sempre, da dimostrazione della sua bravura, anche se il suo personaggio sfortunatamente, un po’ come tutti gli altri della pellicola, non viene approfondito in maniera esauriente e manca di profondità mostrandoci una signora anziana dai modi raffinati, modi che in alcuni casi dimentica, simpatica e allo stesso tempo dispotica, pronta a lottare perché il dipinto che raffigura sua zia Adele e altre opere appartenenti alla sua famiglia tornino nelle sue mani, ma che allo stesso tempo in alcuni momenti sembra perdere la forza di volontà e la motivazione. Tutte le sue ragioni sono poco esplorate e lasciano dei buchi nella sceneggiatura.
Interessante, ma anche qui poco approfondito, il differente approccio generazionale alla vicenda tra chi quegli eventi li ha vissuti e chi invece li ha sempre e solo sentiti raccontare.
Poco convincente a questo proposito la prestazione di Ryan Reynolds nei panni del giovane avvocato che, salvo alcuni momenti, è abbastanza inespressivo.
Il film si sviluppa tra continui flashback che ci raccontano la storia della giovane Maria, impersonata da una intensa Tatiana Maslany, e del suo rapporto con il quadro e i suoi cari. Flashback che inizialmente distraggono e sembrano quasi fuori posto, ma che con lo scorrere del film diventano quasi più interessanti della mera vicenda giudiziaria, portata avanti senza forza.
“Woman in gold”, nonostante alcuni evidenti difetti, rimane un film interessante, dall’impianto classico e pulito, che si lascia seguire e porta ancora una volta alla luce i dolori, le umiliazioni e i crimini che furono perpetrati su milioni di persone.
Forse non è possibile risarcire le vittime del nazismo, ma forse è possibile fare giustizia e almeno restituire ciò che a loro venne tolto; come ci dimostra la storia di Maria questo non rimargina le ferite, ma è un qualcosa che comunque aiuta ad andare avanti e a non dimenticare i propri cari che non ce l’hanno fatta… a tenere vivo il loro ricordo.